La loggia del Romanino
La Loggia, detta “del Romanino” dal nome dell’artista che fra il 1531 e il 1532 ne eseguì la decorazione ad affresco, occupa una posizione centrale al primo piano del Magno Palazzo, aperta in cinque arcate sul Cortile dei Leoni. È il luogo di raccordo fra i vari corpi di fabbrica: da essa si accede direttamente al corridoio dietro le antiche cucine e ai bagni, si sale al piano superiore con l’appartamento del principe vescovo, la Sala Grande e altri ambienti di rappresentanza, e si scende nel giardino esterno.
Nella decorazione della Loggia temi profani, allegorici, mitologici biblici e di storia romana si alternano all’interno di un complesso programma iconografico che riflette la cultura umanistica rinascimentale diffusa nelle corti e l’immagine che di se stesso intendeva dare l’illustre committente, il principe vescovo Bernardo Cles.
Grazie al restauro del 1985-1986 gli affreschi sono tornati leggibili in tutto il loro splendore; in particolare i nudi sono stati liberati dalle vesti sovrapposte in modo deturpante probabilmente nel secolo XVIII.
Immagini e cultura rinascimentale
Il mito di Fetonte
Il riquadro centrale della volta della Loggia è dedicato al mito di Fetonte, il figlio del Sole che, impadronitosi del carro paterno, senza essere in grado di guidarlo si lancia in una corsa sfrenata e pericolosa nella volta celeste, al punto da provocare l’intervento di Giove che punisce la temerarietà del giovane.
L’episodio – narrato da Ovidio nelle Metamorfosi (libro II,vv. 19-102) – è raffigurato in modo molto spettacolare su un vasto cielo azzurro che pare sfondare la reale consistenza architettonica della volta e mette in guardia dal contare eccessivamente sulle proprie forze nell’affrontare missioni impegnative: nel caso del principe vescovo e, in genere dei governanti, il riferimento è alle responsabilità politiche, per le quali la saggezza e la prudenza si rivelano virtù indispensabili. La corsa del carro di Fetonte, che allude anche al trascorrere del tempo, segnato dal susseguirsi delle stagioni, attraversa la volta da est ad ovest seguendo il reale percorso del sole rispetto ai punti cardinali, richiamati dalle figure allegoriche del Sole (Apollo – giorno) e della Luna (Diana – notte) poste alle estremità della volta. Accanto ad esse, in riquadri minori, sono raffigurate le personificazioni delle stagioni: a est la Primavera e l’Estate, che recano con se fiori e frutti, ad ovest l’Autunno e l’Inverno, con grappoli d’uva e foglie secche.
Nudi virili
Gli otto nudi virili dipinti nei pennacchi della volta, raffigurati con effetti illusionistici sorprendenti e in pose ardite e drammatiche, con i capelli scompigliati dal vento, esprimono il turbamento per quanto sta accadendo nella parete più alta della volta, dove Fetonte ha ormai perduto il controllo del carro del Sole che rischia di precipitare sulla terra.
Nella porzione occidentale, sopra la scala che conduce al piano superiore, la volta della Loggia raffigura il mito di Ganimede: il bellissimo giovane rapito dall’aquila di Giove, che volle farne il coppiere degli dei dell’Olimpo. Questo episodio mitologico è stato interpretato in ambito neoplatonico e cristiano come elevazione dell’anima a Dio.
Lunette: le Grazie
Le dieci lunette lungo le pareti della Loggia raffigurano tre concerti e alcuni temi tratti dalla Bibbia, dal mito e dalla storia romana.
Secondo una recente interpretazione (H.P. Ties, Il cardinale Bernardo Cles e il “potere d’amore”, “Studi Trentini di Scienze Storiche, Sezione II, 2007, pp. 53-96) esiste un legame tematico non solo fra le lunette ma anche fra la decorazione della Loggia e quella della scala che scende nel giardino e dell’ambiente al piano terreno: si tratta del potere dell’amore sugli uomini e sulle donne, inteso in senso negativo come seduzione, passione sfrenata e causa di follia. Per una corretta lettura del ciclo occorre dunque partire dalla lunetta con le Grazie, che ha un ruolo centrale per gli aspetti simbolici e, non a caso, è la prima ad essere vista dal visitatore del Magno Palazzo proveniente da Castelvecchio essendo perfettamente in asse con la porta dell’atrio al cortile. Secondo l’autore latino Seneca le tre Grazie si tengono per mano alludendo allo scambio continuo di benefici che avviene tra loro e rappresentano ciò che rende piacevole la vita degli uomini, la musica, la poesia, l’arte del parlare; ma le Grazie sono anche le ancelle di Venere, dea dell’amore, coloro che appunto conducono all’amore.
Lunette: Venere e Amore, la musica
Venere e Amore sono raffigurati nella prima lunetta a sinistra, purtroppo deteriorata, secondo un modulo figurativo molto frequente nella pittura veneta del Cinquecento. La lunetta accanto è dedicata alla musica, con due uomini, uno dei quali suona il flauto, all’aperto insieme a una donna; la musica è strettamente legata all’eros in quanto mezzo di seduzione all’amore sensuale. Lo stesso tema viene espresso in altre due lunette con concerti: nella prima, sul lato maggiore della Loggia, una donna suona il liuto fra due corteggiatori che le rivolgono sguardi ardenti; nella seconda, in prossimità della scala, un giovane suonatore è circondato in modo pressante da tre giovani donne che suonano il flauto; quella di sinistra gli offre un frutto, probabilmente una pera, interpretabile come metafora dell’invito erotico.
Lunette: Dalila e Sansone, Giuditta e Oloferne, Cleopatra
A queste lunette, in cui si allude al potere di seduzione della musica, si affiancano altre raffigurazioni in cui il contenuto amoroso è più esplicito: Dalila che taglia i capelli a Sansone addormentato, alla presenza di un amorino; è evidente l’interpretazione negativa di Dalila come astuta seduttrice e di Sansone come vittima della passione amorosa, che alla fine lo portò alla rovina. Il concetto del “potere della donna” sull’uomo viene espresso con straordinaria efficacia nella lunetta sopra la scala con Giuditta ed Oloferne. Dopo aver affascinato grazie alla sua bellezza il generale nemico Oloferne, che dorme ubriaco nella tenda del proprio accampamento, l’eroina ebrea Giuditta gli taglia la testa per portarla in segno di vittoria al suo popolo, liberato dall’assedio nemico.
Anche la lunetta con Cleopatra che si dà la morte facendosi mordere da un serpente velenoso dopo che il suo amante, il romano Antonio, è stato sconfitto da Ottaviano è un’esemplificazione delle conseguenze di una passione amorosa tramutatasi in follia.
Lunette: 'Suicidio di Lucrezia' e 'Uccisione di Virginia'
Le ultime due lunette, con episodi della storia romana quali il Suicidio di Lucrezia e l’Uccisione di Virginia sono dimostrazioni ulteriori delle conseguenze nefaste degli impulsi erotici non tenuti a freno dalla ragione e dalla virtù. Lucrezia, matrona romana di provate virtù è vittima della violenza del figlio del re di Roma Tarquinio il Superbo e preferisce darsi la morte, invano soccorsa dal marito, piuttosto che sopravvivere al disonore. Come quella precedente, anche la tragica vicenda di Virginia viene narrata da Tito Livio. Giovane romana del V secolo a.C., Virginia, oggetto delle brame del decemviro Appio Claudio, che tenta invano di sedurla, viene da questi dichiarata schiava. Il padre di Virginia, preoccupato per la sorte della figlia, non esita a darle la morte per preservarla dal disonore. L’episodio può essere letto come un gesto estremo che porta a sacrificare gli affetti più cari, pur di evitare le sofferenze provocate da insane e violente passioni.